Testo per opera “RISoluzione OTTO”, 2015
(…)il lavoro di Paolo Manganelli potrebbe sembrare un semplice esercizio di significativa abilità. Ma, se non altro perché abbiamo appena varcato la soglia del Millenio, tratteniamoci qualche momento sul valore mutato della parola paesaggio, parola che il ventesimo secolo(…) ha contribuito a limare, a erodere, infine a calpestare, fino a mutarne profondamente il significato(1). (…)ora la nostra responsabilità è dare ordine ai frammenti che ci sono stati lasciati, perché abbiano ancora un significato, o ne assumano uno nuovo, magari con la necessaria lentezza. Voglio leggere nelle sequenze di Paolo un’organizzazione attenta, ancora eroicamente ritmica, delle cose, di ciò che sta intorno a noi, in cui anche l’aberrazione è ricondotta a un tessuto di cellule armoniche e nuovamente feconde (2). (…) i suoi colori decisi formano una sorta di geometria astratta sul supporto dove trame e contorni paiono combinarsi in un racconto della memoria, che si compone e scompone (3). (…) lo specifico linguaggio si pone anch’esso come narrazione, suono, creatività. E’ il mondo di Manganelli che si apre alla scoperta(4), (…) che ha dato forma ad un intenso gioco di cromie(5), (…) per giungere alla comprensione di un linguaggio che è andato affinandosi senza mai rinnegare se stesso (6). L’incanto artistico è ineffabile, è un respiro profondo, è il rapimento della percezione, è l’emozione più pura. I colori si appropriano di una vita interiore e comunicano, sussurrando(7) . (…)Dalla sensazione all’emozione, dall’idea alla realizzazione. Il progetto permane come significato, il colore diventa significante di un discorso poetico che inebria e ammalia (8).
(1/2) “dare ordine ai frammenti” di Paolo Zermani dal catalogo mostra Suoni inesistenti 11/2000-02/2001. (3/4/5/6) “geometrie del pensiero di paolo manganelli” di Stefania Provinciali, Gazzetta di Parma 19/02/2013 per mostra Translation Octet . (7/8) “proiezione temporale” di Alessandra Battioni per Translation Octet.
Testo critico in riferimento all’opera “SUONO”, 2000
di Paolo Zermani Architetto
Dare ordine ai frammenti.
Se si trattasse soltanto di un esperimento sul corpo maturo di Paul Klee , maestro al quale lo legano densi rifermenti concettuali , il lavoro di Paolo Manganelli potrebbe sembrare un semplice esercizio di significativa abilità. Ma , se non altro perché abbiamo appena varcato la soglia del Millenio , tratteniamoci qualche momento sul valore mutato della parola paesaggio , parola che il ventesimo secolo appena lasciato senza rimpianti , ha contribuito a limare , a erodere ,in fine calpestare , fino a mutarne profondamente il significato . Non esiste più un ultimo orizzonte , in senso leopardiano , inteso come orizzonte più lontano che l’occhio consente di vedere ,ma solo un ultimo orizzonte in senso numerico e progressivo , inteso come quello che è giunto dopo il penultimo , e dopo il quale ne giungerà rapidamente un altro e poi un altro ancora , con sconvolgente rapidità e rapacità , fino a restringere sempre più la prospettiva che l’occhio può osservare. Il secolo trascorso ha soprattutto , insomma , sottratto spazio e affida a quello appena iniziato il dilemma consistente nel fatto che questo spazio , dello sguardo dell’uomo , sta restringendosi rapidamente, forse finirà , inghiottito dalla follia degli abitanti del pianeta. Se Klee , cent’anni fa , aveva il problema di dare ordine al movimento , quel movimento incombente che avrebbe rappresentato la frenesia del secolo nascente , ora la nostra responsabilità è dare ordine ai frammenti che ci sono stati lasciati , perché abbiano un significato , o ne assumano uno nuovo , magari con la necessaria lentezza . Voglio legger nelle sequenze di Paolo un’organizzazione attenta , ancora eroicamente ritmica , delle cose , di ciò che sta intorno a noi , in cui anche l’aberrazione è ricondotta a un tessuto di cellule armoniche e nuovamente feconde . Certo , il cielo è costituito solo da frammenti e anche la terra è come un colossale lottizzazione dello spazio che ci consente di esercitare il punto di vista , l’osservare , solo attraverso cannocchiali obbligatori . Ma non è così il nostro paesaggio ? Di fronte a un quadro di arte contemporanea ognuno legge ciò che vuole , un destino triste , generalmente , per l’artista che ha sempre prodotto un lungo e meditato percorso . All’inverso Paolo ci parla di un suono inesistente , che sarebbe il suono risultante dalla lettura finale delle configurazioni geometriche , insomma ciò che ognuno ne deduce , quasi partorendo per conseguenza un proprio suono , nel caso della pittura una propria immagine . Credo che i “suoni inesistenti” rappresentati da Paolo Manganelli , indotti dalla sua scrittura figurativa , costituiscono l’estrema speranza di un nuovo paesaggio . La ricerca di un ordine ( il lavoro di Paolo è quasi ossessivamente didascalico ) mi fa ricordare che Casper Friedrich , forse il più grande fra i paesaggisti ottocenteschi , quando da queste parti Carmignani padre e figlio dipingevano i bei falò sui greti intonsi del Parma o del Baganza , eliminò gradualmente del tutto gli oggetti d’arredo del proprio studio , affinché non interferissero co la rappresentazione del soggetto paesaggistico . Per un artista che lavora oggi a pochi chilometri dalla Via Emilia e dal greto inquinato del Taro , al centro della Pianura Padana che è la zona più industrializzata del paese , è impossibile eliminare le interferenze . Ma l’arte , per fortuna , va oltre la vista , conosce la speranza della visione.